14 ottobre 2011

La lettera perduta





lettera n.2 

"ti avevo scritto una lettera così carina  e s'è persa, dicevo della
tua bellezza leccata
dei peli osceni che crescono fuori dalle mie orecchie
come un toro vecchio 
pieno di testosterone 
delle mie battute sceme, tipo quella del  carro allegorico 
un certo alone si aggira attorno a me
quindi rinunciamo al caffé
sempre tuo"



La lettera perduta atterra lieve in caduta libera a zig zag come piuma.
Alza lo sguardo, lassù da dove è caduta, sconforto e seccatura. Si guarda attorno, sedie pieghevoli di legno, disposte a semicerchio e sopra strana gente seduta, tranquilla.
Due orecchie, un tubo di testosterone, una bellezza leccata, un certo alone e  un caffè-vittima. Tutti guardano la nuova arrivata, che ricambia le occhiate bovine senza farsi intimidire.
“Che ci fate qui?” chiede la lettera perduta.
“Lei piuttosto che ci fa qui? Noi siamo a casa nostra.” chiede un certo alone.
“Sono perduta.” risponde la lettera alzando lo sguardo verso l' alto.
“Dimentichi.” osserva la bellezza leccata.
“S'è persa!” modulano le orecchie accorate e pelose.
“Ci sono alcune sedie vuote. Posso ?” chiede  la lettera perduta.
Tutti, spallucce in sincrono. 
Da sinistra entra lentamente un carro allegorico, cassette di frutta vuote e impilate su  rotelle, coperte da uno scialle fiorato a frange rosse. Si ferma in mezzo al semicerchio.
“Finirà una buona volta questa processione! I bei tempi, le gite sul prato, le compagne delle elementari, delle medie, dell' università, dell' oratorio! ... liberateci da questa solfa!.” sputa dritto il tubo.
"Fa' tu che sei l'ultima.” ordina un certo alone alla lettera smarrita.
“Non ho forza nè agio di far lavori pesanti.” declina la sperduta.
 Il tubo scende laconico dalla sedia, prende il manubrio del carretto allegorico e lo trascina piano fuori scena. Poi ritorna a sedersi.
Tutti restano muti all'etica del tubo.
“Devo confessare: in gioventù non ho mai amato i tori.” d'un fiato soffia la bellezza leccata.
“Ma che diamine di confessione è ? Lo so da un pezzo. ” sfugge a un certo alone.
“Come fai a saperlo ? ” sbalordisce la bella linguetta di fuori.
L'alone zittisce se stesso, preso in castagna. Il tubo tosto cala sul bell'elemento con erculea forza cilindrica.
“Da tempo ti osservo, cane! Sei una spia?” urla timidamente il tubo.
Un certo alone tace.
“Cosa ne facciamo?” chiede il tubo ormonico.
Tutti osservano un minuto di silenzio. La spia striscia fuori scena a sinistra. 
Il caffè-vittima si commuove e piange pianissimo.


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