30 ottobre 2011

L'intervista





Lenz, Zarathustra e Rilke sono seduti a un tavolino sulla terrazza di un caffè di montagna. Alle loro spalle un enorme cartolina con paesaggio montano.

Lenz: Voglio sapere perchè sono un frammento. Voi?
Zarathustra: Per me! Bisogna avere ancora il caos in sé per poter partorire una stella danzante.
Lenz: Sì sì  d'accordo, ma non le interessa sapere perchè proprio Lei sia finito a fare il "Frammento tedesco"?
Zarathustra: Bù.
Rilke: Bù

Arriva il signor Guglielmo Manenti, artista, autore di “Frammenti tedeschi”, tavole a tecnica mista dedicate a Lenz di Buchner, Zarathustra di Nietzsche, Elegie Duinesi di Rilke. 
Si siede al tavolino con gli altri. Tutti ordinano un caffè crema a un cameriere silenzioso in costume tirolese, che ritorna impeccabile dopo un minuto, serve i caffè e deposita una enorme tazza di panna montata a torre sul tavolino. I tre frammenti tedeschi  riempiono le tazze con cucchiaiate di panna zuccherata e sorseggiano,  panna resta sui baffi e sul mento. Nessun Frammento si pulisce. Il maestro Manenti guarda.

Rilke:  Caro Manenti,  siamo lusingati dei "Frammenti Tedeschi" che (indica con un largo gesto della mano i tre)  le abbiamo ispirato. Bei disegni non c'è che dire ( i tre annuiscono), belle opere ( i tre annuiscono), ma  vede siamo perplessi sulla chiave di lettura che Lei suggerisce.


Manenti: .... montagna e ascesa?  

Lenz:  Sì. La mia perplessità nasce dal fatto che scalare cime non fa proprio per me, Lei lo sa bene. Preferisco vagare nel bosco o su pendii morbidi e sempre camminando in senso trasversale, ma l'alpinismo  è tremendo.

Rilke:  Sono d'accordo, le cose alte e perfette, come  l'Angelo, sono tremende. 

Signor Manenti: Per certi aspetti .........

Rilke:  Lei mi ha disegnato l'Angelo ben cinque volte! Benissimo!  chiunque legga le Elegie si fissa là, tutti a guardare ali e urli ! facciano pure ! Ma ricordi che la felicità non è un ascensore in salita, va piuttosto in discesa.

Signor Manenti: Veramente io non ..........

Zarathustra:  In montagna ci vado spesso  (inchino),  ma devo ammettere che quando sto sulle cime,  divento talmente grasso di saggezza che rotolare verso il basso mi è naturale.

Signor Manenti:  (sob)  .....

Zarathustra:  Non faccia così,  Maestro!  nei suoi disegni c'è sempre qualcosa che brucia e brilla, fuochi e rosso e oro. Un liet motiv?

Signor Manenti: Ebbene ....

Zarathustra:  Bravo! ...  il sole .... la generosità ...., ma dica,  Manenti,  che fine ha fatto Roger Rabbit ?

Signor Manenti: In che senso ?

Zarathustra: Veda Lei.

Rilke: Se posso interpretare le parole di Zarathustra  (inchino), il signore intende dire che la questione è non tanto se ci sia montagna  o ascesa  nei  "Frammenti tedeschi", piuttosto in che luogo dobbiamo trovare una degna collocazione,  insomma come stare al Mondo e fare ciambella di noi come un gatto.

Signor Manenti:   Sembra facile  ....

Lenz: Il signor Rilke ha ragione,  va bene essere del Mondo, ma quale ? dove ?

Rilke: Mondo è il mio argomento principe (inchino), e posso dire senza ombra di dubbio che il posto adatto,  fresco e distinto,  è il Nessun-Dove (Nirgends deutsche sprache). Gli ospiti sono un po' ingombranti, ma basta non stare a pensare tutto il tempo che sono morti o Angeli, e ci si abitua.

Manenti:  una meta difficile .....

Rilke: Niente affatto. Gli innamorati vedono benissimo quel posto mentre baciano con gli occhi bene aperti,  oltre le spalle del baciato. Insomma potrebbero farcela. E' spirituale e altamente autistico, meglio di qualsiasi viaggio o weekend.

Lenz:  Anch'io ho qualcosa di spirituale!  Ero solo nel bosco innevato e un Essere (Wesen deutsche sprache) mi ha toccato. Spero Maestro non sia stata quella cosa ossuta e volante che si vede in certi suoi disegni?

Signor Manenti:  In realtà potrei quasi .......

Rilke: Lasciamo perdere, non è dato sapere dall'artista certi dettagli. L'importante è fuggire da questo  mondo di Quark, e starsene a cuccia ognuno nel suo angolino nel Nessun-Dove, zitto e muto. 

Signor Manenti:  Forse si potrebbe ......

Zarathustra: Maestro, risponda almeno a una domanda: perchè noi ? perchè Frammenti ?  perchè <lei insiste sulla montagna che a noi sta stretta ?

Signor Manenti: Quando ero piccolo ........

Lenz: Capisco! Lei si è fatto un film su di noi. Senza il nostro consenso. Rettifichi. 

Signor Manenti: Volevo appunto dire .......................

Rilke: Intanto sono irrappresentabile, come Lei ben sa.  Invece mi ha marchiato "Frammento tedesco", e adesso che faccio? Muuuu ?

Signor Manenti: (A parte) accipicchia mi hanno incastrato! come diceva nonna per il gatto sterilizzato.

Zarathustra:  Qualcosa sfugge all'illustrazione, caro maestro, anche alla sua, per quanto a noi piaccia (si inchinano). Le ci  disegna come un mezzogiorno-di-fuoco che un po' ci ammazza  e un po' ci riporta in vita. Abbia salute!

Lenz: signor Manenti (inchino).

Rilke: Ricordi, discesa!


15 ottobre 2011

Storia di Paddy





Paddy l'elefante pesca. Nascosto dietro a un cespuglio bello grande, allunga tra le foglie un retino da farfalle, e aspetta. Parole cadono lungo il tragitto, perchè i discorsi umani sono deboli, bucati  a colabrodo, così le parole vanno a picco giù. Per strada ovnque, ci sono resti leggerissimi di parole che si possono pescare.  Fin dal primo mattino Paddy si apposta e e riempie la borsa a tracolla. Dopo torna a casa, dispone le parole in un album, le fissa con una colla che le lascia respirare, e sotto ci scrive la data e l'ora della pesca. 
Una domenica mattina, sonnecchia con la retina che sporge ben mimetizzata tra le foglie.   Tutto è più lento, i discorsi si alzano tardi, c'è da aspettare.
Uno strattone improvviso lo sveglia. Tasta la retina con la proboscide, c'è un mucchio   piccolo come un tortellino. Lo raccoglie delicatamente e l'accosta alle grandi orecchie grigie, come per ascoltare il rumore del mare in una conchiglia.
Ciao amoreeee!” in falsetto. Paddy rigira la proboscide davanti agli occhi per vedere meglio ciò che ha pescato. Non è un tortellino, ma un' umida parola, molto rara, una specie timida, colorata di rosso, che ha l'abitudine di chiudersi a tortellino. La sistema delicatamente nel cestino.
Un giorno ha  trovato qualcosa di simile, un mucchietto rosso e ripiegato su se stesso, "ti voglio bene", un vero rottame, arruginito dal lungo tempo passato all'aperto. L'aveva sistemata nell'album, ma raggrinziva ogni giorno di più. Le parole di quel colore non resistono da sole, avvizziscono presto come fiori senza acqua.
Paddy è contento e torna a casa col bottino quatto quatto.  Nell'album apre la pagina dove ha messo la frase impallidita, "ti voglio bene", e ci incolla vicino  "ciao, amoreee".  Ma è passato troppo tempo, le parole rinsecchite non si riprendono. 

Storia delle parole troncate







<Ah! Ah! come te la cavi? Tu sei un fiore delicato: quando ti deciderai ad aprire la corolla al mondo? .......................
Rest of message truncated>
<failure>


Le parole di una mail troncata calano giù, giù, giù.
Finchè arrivano nel prato degli asfodeli, non è un posto fiorito. Non c'è luce,  l'aria è fosca, e si sta in modo indolore.  Le parole troncate si riconoscono dal cappuccio grigio,  o cappuccio di Ade, che le fa invisibili. 
Sembrano fiori rovesciati all'ingiù, con filamenti di lettere dell'alfabeto che sbucano come lunghi pistilli. O paiono falchetti incappucciati, o cartocci di caldarroste, o copri-uova di lana.  La similitudine è comunissima nel luogo, per via dell'aria fosca che proietta riflessi come una plumbea aurora boreale. Nel mondo di sotto, infatti,  niente è più come era nel mondo di sopra. Ogni cosa che ha varcato quella soglia, diventa un multiplo di sè, che si apre in immagini a ventaglio, come un pavone.  
Le parole  troncate non si levano mai il cappuccio. Ci sono correnti per via delle ombre. 
Le ombre sono la popolazione più vasta del mondo sotterraneo, e sono riconoscibili da un dinamismo estremo. 
Hanno una natura mercuriale, perennemente alla ricerca di un posto adatto  dove dimorare, che non possono trovare poichè continuano a  spostarsi. Non è facile vedere un'ombra, si può  soltanto dedurre la sua presenza da un improvviso spostamento dell'etere infero, un giro d'aria cupo.   
Non esiste un cibo per ombre, allora si ingolfano di substrato o di aria, inebriandosi di pienezza fino a barcollare. Dopo si nascondono come i gatti. Hanno vita propria, staccata da tutte le altre specie.
Altri abitanti sono farfalle del tipo psyche. Sono delicate, ma possono alzarsi a elicottero in verticale, senza rumore, spiccare un balzo, e mangiare a colibrì. 
Le psyche sono tante. Alcuni sostengono che ogni organo ne abbia una, e quindi l'anima-naso, l'anima-pancreas, l'anima-ano, ma non ci sono prove.
Le farfalle non hanno madre nel senso mammifero, e la loro infanzia non conosce il trauma.    Non sono dinamiche come le ombre, preferiscono posarsi e riflettere. Un alone di polvere     come di grafite,  rivela la loro presenza.
A un certo punto, non si può stabilire quando, tutti gli abitanti del prato di asfodeli restano immobili. Non un alito di corrente, nessun volo. Le parole troncate si radunano in una valletta, che da lontano appare una distesa di cappucci grigi, un mare di onde  come  ditali di cenere. 

14 ottobre 2011

La lettera perduta





lettera n.2 

"ti avevo scritto una lettera così carina  e s'è persa, dicevo della
tua bellezza leccata
dei peli osceni che crescono fuori dalle mie orecchie
come un toro vecchio 
pieno di testosterone 
delle mie battute sceme, tipo quella del  carro allegorico 
un certo alone si aggira attorno a me
quindi rinunciamo al caffé
sempre tuo"



La lettera perduta atterra lieve in caduta libera a zig zag come piuma.
Alza lo sguardo, lassù da dove è caduta, sconforto e seccatura. Si guarda attorno, sedie pieghevoli di legno, disposte a semicerchio e sopra strana gente seduta, tranquilla.
Due orecchie, un tubo di testosterone, una bellezza leccata, un certo alone e  un caffè-vittima. Tutti guardano la nuova arrivata, che ricambia le occhiate bovine senza farsi intimidire.
“Che ci fate qui?” chiede la lettera perduta.
“Lei piuttosto che ci fa qui? Noi siamo a casa nostra.” chiede un certo alone.
“Sono perduta.” risponde la lettera alzando lo sguardo verso l' alto.
“Dimentichi.” osserva la bellezza leccata.
“S'è persa!” modulano le orecchie accorate e pelose.
“Ci sono alcune sedie vuote. Posso ?” chiede  la lettera perduta.
Tutti, spallucce in sincrono. 
Da sinistra entra lentamente un carro allegorico, cassette di frutta vuote e impilate su  rotelle, coperte da uno scialle fiorato a frange rosse. Si ferma in mezzo al semicerchio.
“Finirà una buona volta questa processione! I bei tempi, le gite sul prato, le compagne delle elementari, delle medie, dell' università, dell' oratorio! ... liberateci da questa solfa!.” sputa dritto il tubo.
"Fa' tu che sei l'ultima.” ordina un certo alone alla lettera smarrita.
“Non ho forza nè agio di far lavori pesanti.” declina la sperduta.
 Il tubo scende laconico dalla sedia, prende il manubrio del carretto allegorico e lo trascina piano fuori scena. Poi ritorna a sedersi.
Tutti restano muti all'etica del tubo.
“Devo confessare: in gioventù non ho mai amato i tori.” d'un fiato soffia la bellezza leccata.
“Ma che diamine di confessione è ? Lo so da un pezzo. ” sfugge a un certo alone.
“Come fai a saperlo ? ” sbalordisce la bella linguetta di fuori.
L'alone zittisce se stesso, preso in castagna. Il tubo tosto cala sul bell'elemento con erculea forza cilindrica.
“Da tempo ti osservo, cane! Sei una spia?” urla timidamente il tubo.
Un certo alone tace.
“Cosa ne facciamo?” chiede il tubo ormonico.
Tutti osservano un minuto di silenzio. La spia striscia fuori scena a sinistra. 
Il caffè-vittima si commuove e piange pianissimo.