15 ottobre 2011

Storia di Paddy





Paddy l'elefante pesca. Nascosto dietro a un cespuglio bello grande, allunga tra le foglie un retino da farfalle, e aspetta. Parole cadono lungo il tragitto, perchè i discorsi umani sono deboli, bucati  a colabrodo, così le parole vanno a picco giù. Per strada ovnque, ci sono resti leggerissimi di parole che si possono pescare.  Fin dal primo mattino Paddy si apposta e e riempie la borsa a tracolla. Dopo torna a casa, dispone le parole in un album, le fissa con una colla che le lascia respirare, e sotto ci scrive la data e l'ora della pesca. 
Una domenica mattina, sonnecchia con la retina che sporge ben mimetizzata tra le foglie.   Tutto è più lento, i discorsi si alzano tardi, c'è da aspettare.
Uno strattone improvviso lo sveglia. Tasta la retina con la proboscide, c'è un mucchio   piccolo come un tortellino. Lo raccoglie delicatamente e l'accosta alle grandi orecchie grigie, come per ascoltare il rumore del mare in una conchiglia.
Ciao amoreeee!” in falsetto. Paddy rigira la proboscide davanti agli occhi per vedere meglio ciò che ha pescato. Non è un tortellino, ma un' umida parola, molto rara, una specie timida, colorata di rosso, che ha l'abitudine di chiudersi a tortellino. La sistema delicatamente nel cestino.
Un giorno ha  trovato qualcosa di simile, un mucchietto rosso e ripiegato su se stesso, "ti voglio bene", un vero rottame, arruginito dal lungo tempo passato all'aperto. L'aveva sistemata nell'album, ma raggrinziva ogni giorno di più. Le parole di quel colore non resistono da sole, avvizziscono presto come fiori senza acqua.
Paddy è contento e torna a casa col bottino quatto quatto.  Nell'album apre la pagina dove ha messo la frase impallidita, "ti voglio bene", e ci incolla vicino  "ciao, amoreee".  Ma è passato troppo tempo, le parole rinsecchite non si riprendono. 

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